UFO'S MOM CAMBIA CASA!

Attenzione, attenzione, UFO'S MOM HA CAMBIATO CASA!

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domenica 12 maggio 2013

Domenica 19/52 ... Auguri mamma, mi manchi!




Sono qui, davanti allo schermo del computer, la pagina bianca che attende le mie parole, quelle che dovrebbero raccontare questa domenica di cielo limpido e aria frizzante, ma forse anche quelle che potrebbero parlare di un sabato intenso a Talent Donna, del mio nuovo taglio di capelli, di Ale che finalmente dopo tanto soffrire ha un nuovo dentino ... ci sarebbe da raccontare, da emozionarsi, da sorridere!

Eppure il pensiero va a Lei, lei che c'è in trasparenza, Lei che non posso o non riesco ad abbracciare, Lei che mai come in quest'anno da mamma ha fatto sentire la sua assenza.

La mia mamma non c'è, non c'è nel corpo, nella parola, nei gesti. Una malattia, la più dolorosa e infame, la sta consumando. 

Non ho mai parlato di Lei in questo blog, non l'ho fatto per rispetto, perché forse un blog non significa davvero raccontare tutti i fatti tuoi, perché spesso mi mancano le parole, la forza, il coraggio, perché raccontare a volte fa male.

Avere la SLA è come essere condannati alla pena di morte senza processo e diritto d'appello. 
E' una spada di Damocle che ogni giorno pende sulla tua testa e ogni ora che passa ti toglie qualcosa. Un muscolo cede a poco a poco, le parole s'impastano nella bocca, la tua mano perde la presa. 
E' un declino lento e consapevole, una caduta al rallentatore che non riesci a frenare.
La SLA è una bestia che ti divora il corpo e ti lascia integra la mente, lucida fino alla fine, quando giaci su un letto, una sonda che ti alimenta, un tubo che ti fa respirare.
Non è facile nemmeno morire. Non te lo concede il tuo paese, spesso chi soffre non ne trova il coraggio, chi ti ama pure.

Ci sono giorni che mi sembra tu non ci sia più. La mia vita scorre frenetica, il bambino assorbe tutte le mie energie, il blog mi ha aperto una strada, una luce per ritrovare me stessa.
Poi accade: un lampo improvviso, un flash che ti riporta improvvisamente da me.

Quel negozio che ti piaceva tanto e che mi è sempre sembrato così chic. Ci sono entrata qualche settimana fa, mi sembrava fossi lì. Ho comprato un po' di cose, chissà se ti sarebbero piaciute.

Quel tuo modo di cucinare le omelette. Io che ti osservo e non vedo l'ora che le giri sul piatto per spalmare lo stracchino e arrotolarle. Ogni volta che le preparo, da sola, nella mia cucina, il tuo ricordo mi assale prepotente.

La mia fissa di chiudere sempre il gas o di stendere la lavatrice appena ha finito il ciclo perché altrimenti  i panni si stropicciano troppo e poi è difficile stirarli. Tu che non hai mai davvero avuto la pazienza d'insegnarmi a stirare perché sono mancina e non sapevi come fare.

Quando accendo la radio e la canzone che sento è una di quelle che piaceva a te. Chissà cosa penseranno gli altri automobilisti nel vedere una donna che guida con le lacrime agli occhi.

E poi ci sono le cose che non ricordo, quelle che mi fanno più male.
Non ricordo più il timbro della tua voce e questa cosa mi fa impazzire. Mi sforzo, ci penso, ma niente. Quando mi sono resa conto di questo ho capito che ti avevo già persa, che non ti avrei mai più ritrovata.

Non ricordo il tuo profumo, l'odore della tua pelle quanto ti mettevi la crema prima di andare a dormire. Forse se lo sentissi per strada lo riconoscerei. E mi sentirei morire.

Non ricordo molte delle nostre conversazioni, oppure mi vengono in mente i litigi e gli scontri e mi chiedo come sia possibile che siano questi a lasciare il segno più di tante belle parole.
Ecco forse la verità è che tu non hai mai dette. Non eri fatta così. Tu facevi dei gesti.

Quando mi hai preso la mano il primo giorno che ho tolto la parrucca e sono uscita alla luce del sole, libera dopo anni, ebbra e spaventata. Tu avevi più paura di me, lo sentivo, ma mi hai sostenuto e quel giorno lo abbiamo affrontato insieme.

Quando mi hai abbracciato orgogliosa e commossa il giorno della mia laurea.

Quando hai chiuso la cerniera del mio vestito il giorno del matrimonio e ti sei beata della mia gioia.

Quando hai pianto alla notizia che aspettavo un bambino. E quando hai fatto lo stesso, facendomi il gesto di cullare un bambino e io lo sapevo che, anche senza parole, mi stavi dicendo che stavi male da morire al pensiero che non avresti potuto prendere in braccio la vita che stava arrivando.

Non so cosa sarebbe stato di me senza Alessandro. Forse tutto questo dolore mi avrebbe trascinato in basso fino a farmi affogare, forse avrei lottato come tu e papà mi avete sempre insegnato.

Resta il fatto che mi manchi, che sto affrontando il compito più impegnativo della vita senza di te e senza papà che, con amore e sacrificio, ti sta accanto e ti accompagna verso la fine.

Già la fine, so che ci sarà, ma non so che impatto avrà su di me. Sapere che chi ami tra poco morirà non è un paracadute alla sofferenza che ne potrà derivare. 
Vado avanti come riesco e posso, perdonami se non riesco a starti vicino come vorrei.

Ecco, ora sto piangendo e con gli occhi appannati dalle lacrime non riesco più a scrivere.
Volevo solo farti gli auguri e farli anche a me ... se sono la mamma che sono, con i suoi pregi e i suoi difetti, lo devo a te!


venerdì 10 maggio 2013

Il venerdì del libro: così non si fa!


Ci siamo, o almeno credo.
È cominciata la fase dei divieti, del “non si tocca, non si fa”, di tutta quella sequenza di no che ti saresti augurata fosse meno stressante.
In fondo era inevitabile: l’ordine di casa si scontra con un esserino assetato di avventure e scoperte e al quale non gliene può fregare di meno se quel vaso di orchidea, l’unica cosa verde che sopravvive in casa tua, deve stare in quel posto perché li ha fiorito negli anni passati e guai a chi l’ho sposta!
E stiamo parlando di un nanetto alto sì e no 80 cm e al quale molte zone sono ancora precluse!!!

Dicono che i “NO” aiutano a crescere, c’è perfino in libro che porta questo titolo, ma in cuor tuo ti auguri sempre di non doverne dire troppi, di essere brava nel trasformare una cosa che non si può fare in un’opportunità di attirare la sua attenzione su altre mete. La verità è che non ci riesci quasi mai: stai cucinando, cercando di riordinare la posta, passando l’aspirapolvere, facendo il letto e, per quanto ci abbiano detto che siamo multitasking e abbiamo imparato a esserlo davvero, una mamma spesso non ce la fa.

Beh, dopo questo preambolo, non potevo non scegliere un libro a tema di una casa editrice che adoro e spero di rincontrare a breve al Salone del Libro di Torino. La Lavieri ha creato una collana che si chiama Piccole Pesti (carino, no?) e al suo interno ci ha messo I monelli, deliziosi albi illustrati di taglio quadrato.
Il libro di cui vi parlo ha un titolo che calza a pennello, “Così non si fa”, e una scelta illustrativa che vi farà piegare dal ridere.



Così, mentre Manuela Monari ci racconta la vita di un bambino dal suo punto di vista e lo fa esordire con un “I grandi sono davvero strani”, Roberto Lauciello ci mostra il piccolo protagonista alle prese con i divieti imposti dagli adulti: “Non si mette la forchetta in bocca, non si toglie la berretta, non correre, non ti sporcare”.

Le situazioni che si creano di volta in volta sono davvero esilaranti e provare a mettersi nei panni del piccolo mostra dei punti di vista sconosciuti: “Certo che la neve è fredda, che succede se mi raffreddo un po’? - Certo che a correre si suda, lo sanno tutti, e se cado mi rialzo, è la cosa che so fare meglio!”.






Insomma, un libro per genitori che vogliono prendersi un po’ in giro e ironizzare/riflettere sul loro ruolo di educatori nella vita dei figli.
Sono sicura che dopo la lettura non vi arrabbierete se il pupetto trasforma il seggiolone in un campo di battaglia e se con un grande sorriso lo lascerete sguazzare in una pozzanghera! Almeno una volta …

E non dimentichiamoci che loro ci vedono così:


Questo post partecipa al Venerdì del Libro di HomeMadeMamma e al Condividiamo un libro sul gruppo facebook La Biblioteca di Filippo.


giovedì 9 maggio 2013

Guarda un po': dipinti-specchio nel deserto

Lo avevo detto e voglio mantenere la promessa.
Ispirazione, bellezza, buone sensazioni ... è quanto il web è in grado di offrire e che vale la pena sfruttare!
La mia rubrica "Guarda un po'" piano piano prende forma e consistenza.

Oggi mi sono lasciata ispirare da delle immagini insolite e che a ben vedere parlano di me molto più di quanto pensassi.
Sono opera di Daniel Kukla, fotografo con una formazione scientifica in ambito biologico e antropologico. 
Nel marzo del 2012 si trova nel Sud della California, presso il Jousha Tree National Park, e rimane colpito dal modo con cui i vari ecosistemi s'incontrano, dando vita ad uno scenario paesaggistico di grande impatto. Per riuscire a catturare e trasmettere questa varietà di elementi decide di servirsi di uno specchio e di un cavalletto e di trasportare su pellicola l'effetto che la superficie riflettente e l'ambiente circostante creano insieme.

Ecco, forse le parole non rendono granché ... meglio lasciare spazio a questi capolavori in cui l'occhio sembra quasi ingannato: non sembrano dei dipinti?











Se vado oltre queste immagini, non posso non pensare a un tema che sento vicino e che ho approfondito anche nel mio libro: il modo con cui osserviamo e siamo osservati, il punto di vista altrui che pensiamo non c'importi, ma che in realtà racconta di noi molto più di quanto vorremmo.

E poi c'è un invito che rivolgo anche a me stessa: quanto perdiamo di ciò che ci circonda perchè ci sembra banale, scontato, ovvio? Quel cielo, quel deserto, quella notte stellata avrebbero comunque catturato la nostra attenzione se non ci fossero stati offerti attraverso uno specchio?

Oppure lo specchio è la metafora dell'altro, chiunque altro, un altro prezioso e amico che ogni tanto ci ferma, ci guarda negli occhi e ci apre lo sguardo?

Oggi per me quell'altro è mio figlio che mi insegna a vedere con occhi nuovi un prato verde, un po' di sabbia, un barattolo colorato. Lui che trasforma un bidet in una piscina di gioco o una lavatrice che gira in un mondo sommerso da osservare per minuti.

PS: se il fotografo vi ha incuriosito, trovate queste e altre foto sul suo sito!


martedì 7 maggio 2013

Se fosse stata femmina ...

Non so se l'ho già detto, ma quando ho saputo di essere incinta, ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere una femmina
Forse per quel senso di complicità tra mamma e figlia, forse per il desiderio non troppo nascosto di farle i codini e pettinarle i capelli, forse per condividere con lei tappe e percorsi di crescita, forse perché il reparto bambine dei negozi d'abbigliamento è infinitamente più vario e colorato.
L'idea dell'arrivo di una maschietto mi ha destabilizzato non poco, ci ho messo un po' di tempo ad abituarmi all'idea, a farla mia e con il senno di poi non solo sono strafelice di essere mamma di un pimpante nanetto, ma so che nel mio viaggio di elaborazione ho pensato: "Forse è meglio così, per una donna il mondo è più difficile e più soggetto a compromessi".
Non so se pentirmi di questo pensiero o se considerarlo realista.
In cuor mio credo che il mondo prima o poi sarà delle donne, ma dall'altra lo vedo ancora un mondo complicato e discriminante.
E' un mondo in cui domina ancora il pensiero che se l'uomo è un don Giovanni, la donna è puttana.
E' un mondo in cui all'uomo sono concesse espressioni e luoghi comuni e nei quali la donna è alternativamente quella emotiva, stressata, sotto ciclo, isterica, lunatica, imbranata (se al volante!).

Qualche giorno fa parlavo con papy durante una breve passeggiata in pieno centro a Torino e, commentando l'abbigliamento di alcune ragazze, ha esclamato: "Certo che se quella va in giro vestita così, non ci dobbiamo lamentare se poi c'è tanta violenza in giro!".

Ok, stop, qui serve un ragionamento perché la frase non va condannata così per partito preso.
Sono sicura che non è un'espressione così inusuale, ma come si siamo arrivati?

Ad un primo livello si potrebbe dire che non si può incolpare l'abbigliamento di una persona se questo innesca pensieri e azioni devianti in un'altra. E' come se io dicessi che, comprandomi una bella macchina, autorizzassi qualcuno a fregarmela.

A un livello più profondo questa frase denuncia che:
- gli uomini spesso agiscono e si sentono autorizzati ad agire sulla base di impulsi che non riescono a controllare.
- una donna che veste in abiti succinti o mettendo in evidenza parti di sè è una facile, un corpo di cui disporre a piacere.

Andiamo ancora più a fondo. 
Perchè molte ragazze si vestono così? 
Cosa le spinge a mettersi una minigonna, una maglietta attillata, un top scollato e a camminare sul filo sottile che separa la bellezza e il buon gusto dalla volgarità e oscenità? 
Io non credo siano donne facili, non credo nemmeno che acconciandosi in questo modo vogliano suscitare chissà quali pulsioni nell'universo maschile, ma qualcosa dice loro che bisogna apparire, che l'aspetto conta più della sostanza, che per soddisfare quel bisogno intimo e profondo proprio dell'adolescenza di appartenere e sentirsi parte di qualcosa, bisogna seguire la moda e la televisione.

Già la televisione. Ieri sera, tra un programma e l'altro, ho visto scorrere immagini di ogni tipo: dalla marca di abbigliamento in cui la modella (anoressica) balla e si atteggia tanto da trasformare lo spot in un video porno, al nuovo profumo pubblicizzato da una donna provocante.

Immaginiamo l'impatto di immagini di questo tipo su una giovane donna, in quell'età difficile in cui l'affermazione della propria identità deve fare i conti con un corpo che cambia, la vicina di banco più bella, l'ansia di fare di parte un gruppo e di adeguarsi per non essere esclusi.

Allora io credo che di frasi di questo tipo e delle azioni che ne possono conseguire, siamo tutti responsabili, gli adulti che quelle immagini le creano attraverso i mezzi di comunicazione e gli adulti che le accettano, le tollerano, non le condannano. 

Si fa presto a dire ai nostri figli che conta quello siamo e non quello che sembriamo.
Più difficile mettere in pratica questa idea ogni giorno, quando parliamo, quando guardiamo passivamente la televisione, quando ci vestiamo, quando commentiamo chi ci passa vicino.

Se avessi avuto una figlia femmina, non avrei voluto vivere nel terrore di vederla uscire con la gonna. 
Forse le avrei potuto insegnare che la femminilità può passare anche attraverso un paio di pantaloni e un po' di mascara.
Forse posso insegnare a mio figlio che una donna vale la pena guardarla negli occhi e non nello specchietto retrovisore di una macchina.
Forse non avrò una figlia femmina, ma posso contribuire a far sentire più sicure quelle delle altre, più libere di sfoggiare il loro look non perché devono farlo, ma perché si sentono bene così.

Forse c'è tanto lavoro per tutti, madri e non.

E voi, cosa ne pensate?

domenica 5 maggio 2013

Domenica 18/52 ... una famiglia arcobaleno!

Quanti colori ha una famiglia?
Non sono brava con le generalizzazioni, mi piacciono gli esempi concreti.
Partiamo dalla nostra colazione della domenica.
Vediamo ... c'è il rosso delle nostre tovagliette di design che ci sono costate un occhio della testa, ma che usiamo tutte le mattina (alla faccia dei sottobicchieri coordinati che vegetano nel cassetto delle tovaglie!). C'è il verde del nostro giardino in fiore, con quel salice e la sua chioma che adoro guardare durante le tempeste estive, mentre ondeggia come una donna arrabbiata. C'è il bianco del latte macchiato del marrone dell'orzo, il nostro rituale della colazione (perché in frigo può mancare tutto, ma il latte no!). C'è il rosa delle sue manine paffute che afferrano i cereali al miele (la scoperta di oggi!). L'arancione e il grigio della sua tutina della notte, quella che preferisco e lo fa sembrare ancora tanto cucciolo.


Basta una semplice colazione per rendermi conto che la nostra famiglia ha mille sfumature, soprattuto siamo una famiglia, lo siamo diventati perché lo volevamo, perché ci sembrava naturale, l'ovvia conseguenza di tanti anni insieme, di idee e mura condivise. 

Eppure non è poco, non è scontato, non è facile. 

Oggi, in un prato inondato di sole, ho viste decine di famiglie arcobaleno, donne e uomini, coppie o single omossessuali che hanno realizzato il loro desiderio di genitorialità o che aspirano a farlo.
Con papy e pupo abbiamo partecipato alla loro festa delle famiglie, un'occasione per conoscersi, scambiare opinioni, idee e tranci di pizza, un modo per stare insieme senza il bisogno di urlare qualcosa, ma per il solo piacere di farlo ... così, alla luce del sole!
Qui di colori ne ho visti tanti: gli schizzi dei bambini, i teli per terra, le copertine dei libri ... un colpo d'occhio meraviglioso!



C'erano anche visi conosciuti, come quelli di Barbara e Chiara, sedute su quel pezzo di verde, facce al sole e sorridenti, un thermos di caffè e un pranzo da condividere. 
Mentre il pupo scorazzava felice sul prato conquistando i sorrisi e gli sguardi della gente, Barbara e Chiara rispondono con semplicità e chiarezza alla mie domande.

Qual è la strada per diventare genitori quando si è omosessuali? 
Il percorso si può snodare su varie strade e quasi nessuna si percorre in Italia. Bisogna andare all'estero, in Spagna o in Danimarca, per trovare donatori e centri qualificati per l'inseminazione, pagare cifre consistenti e incrociare le dita. Prima di partire occorre informarsi, seguire terapie ormonali, trovare ginecologi "sensibili e disponibili", crearsi una rete di contatti che il più delle volte scorre clandestina.

Resto stupita. Ma come è possibile che persone come tutte che desiderano avere dei figli siano costrette a un percorso così articolato e tortuoso, così frustrante e dispendioso?

E non è finita: se tutto va a buon fine e si arriva al lieto evento, uno dei due componenti della famiglia non avrà nessun diritto sul bambino ... NESSUNO! Un genitore invisibile, insomma, che non esiste in termine di legge. 

Ma di cosa abbiamo paura? Che cosa ho io in più per poter essere madre? Non è così che voglio crescere mio figlio, ma con la consapevolezza che l'amore può assumere molte e accettabili forme, che quando ci sono il rispetto e l'affetto poco importa l'aspetto dell'altra persona.
In fondo il messaggio è chiaro e può essere riassunto così:


Io ci credo! E voi?

PS: per maggiori informazioni sulle famiglie arcobaleno, potete consultare il loro sito.


sabato 4 maggio 2013

Il buono che non c'era e adesso c'è

Questo post potrebbe cominciare con un "c'era una volta".

C'era una volta un bar di periferia, una strada trafficata e un nome altisonante: "Bar Italia".
Arredamento semplice, un paio di vetrine buttate sulla strada, una cucina per servire i pranzi, quasi sempre le stesse facce a prendersi un caffè e a chiacchierare.
C'era una volta un bar affacciato sulla caserma dei carabinieri, su una via di palazzi e pochi negozi, quelle strade dove a poco a poco inizi a conoscerti e a scambiare cenni di saluto. In quel bar due ragazzi  emozionati e pieni di sogni bevevano caffè e parlavano di colori sui muri e pavimenti, mentre a poca distanza la loro prima casa stava prendendo forma e vita.

Una mattina, una delle tante, quel bar lo trovi chiuso, serrande abbassate e sigilli alle porte.
Salta fuori la storia, la triste storia ... e quel locale di periferia diventa il centro di un'esistenza malavitosa  che non sospettavi. Boss, politici, nomi di spicco giravano per quelle stanze, organizzavano riunioni, scambiavano informazioni, decidevano e mercanteggiavano il futuro della città ai piedi della Mole.
Una grande operazione di polizia scopre il giro e mette agli arresti centinaia di persone. Anche il titolare del bar, il boss Giuseppe Catalano, finisce in manette.

Fine delle storia o almeno così sembra.

Immagine tratta da quotidianopiemontese.it

Passa qualche anno e le serrande restano chiuse.
Poi un giorno, uno come tanti, spariscono i sigilli.
Incominciano i lavori, la gente osserva curiosa, cerca di sbriciare all'interno, ma poco trapela.

Fino a quando la notizia. Il Bar riapre e riapre con Libera. 
L'entusiasmo contagia la via, decine di ragazzi lavorano con energia.
Ieri il Bar ha riaperto e una grande folla si è radunata intorno insieme alle autorità che hanno celebrato l'evento.
Questa mattina, il primo vero giorno di lavoro, Don Ciotti si è presentato con la scorta a fare colazione.
Un bel gesto per questa piccola rinascita.







C'era una volta un bar, ha un nome sempre altisonante che ora suona fresco e leggero: Bar Italia Libera.
C'eravamo anche noi, un po' meno ragazzi, un po' più genitori, noi tre che con un caffè e un succo di frutto abbiamo voluto esserci a modo nostro. 


venerdì 3 maggio 2013

Il venerdì del libro: giochi, fantasia e creatività in mezzo al mare!

Siamo tornati e a quanto pare siamo scampati a ben quattro giorni di pioggia quasi ininterrotta che ha fatto spuntare branchie e pinne alla metà dei nostri amici rimasti in quel di Torino. 
Siamo tornati riposati (abbastanza!) e guariti (almeno il pupo!) e con una bella sensazione di sabbia e mare che spero ci accompagnerà per un po'.

Il libro della settimana non poteva, quindi, non portarsi qualcosa dietro di questa minivacanza e, soprattutto, essere uno degli acquisti fatti in giro per Cesenatico. Grazie al consiglio di Francesca, libraia di Cartamarea, mi sono trovata tra le mani un libricino di una piccola casa editrice nata a Imola agli inizi degli anni '90. La Bacchilega editore, che gestisce anche il settimanale Sabatosera, ha al suo interno la collana Vice Versa che, come dice il titolo, presenta dei volumi alquanto singolari perché si possono sfogliare da ambo i lati.
Il libro di cui vi parlo, "Morbido giocare, morbido mare", è poi un vero oggetto del desiderio delle handmade addicted o di quelle che, come me, vorrebbero tanto esserlo e stanno aspettando una buona dose di volontà, un pizzico di tempo in più o una prossima vita per poterci provare.
Elisa Mazzoli e Silvia Bonanni, con fantasia, materiali di recupero e originalià, ci portano in un regno incantato, quello del mare e dei suoi abitanti che, udite udite, potrete realizzare con le vostre mani!

Ci sono il Polipo Tato e il Cavalluccio Bibolle che prendono vita da un paio di calzini e una sfilza di bottoni colorati. Ci si potrà giocare sotto le lenzuola, con il primo intento a spilucchiare i nostri piedi e il secondo a caccia di ciucci da portare in fondo al mare.



C'è anche la Zia Balenona che nuota nelle profondità degli abissi grazie a un paio di presine e guanti da forno. O la lunga e sottile Annalilla, una veloce anguilla ricavata da una semplice cravatta.



E così, tra tartarughe e gabbiani, pinguini e stelle marine una semplice coccola nel lettone può trasformarsi in un gioco avventuroso e di scoperta e diventare un viaggio nel mare della fantasia.

Non resta che mettersi alla prova ... e quanto sembra, basta davvero poco!



Questo post partecipa al Venerdì del Libro di HomeMadeMamma e al Condividiamo un libro sul gruppo facebook La Biblioteca di Filippo.