Sono qui, davanti allo schermo del computer, la pagina bianca che attende le mie parole, quelle che dovrebbero raccontare questa domenica di cielo limpido e aria frizzante, ma forse anche quelle che potrebbero parlare di un sabato intenso a Talent Donna, del mio nuovo taglio di capelli, di Ale che finalmente dopo tanto soffrire ha un nuovo dentino ... ci sarebbe da raccontare, da emozionarsi, da sorridere!
Eppure il pensiero va a Lei, lei che c'è in trasparenza, Lei che non posso o non riesco ad abbracciare, Lei che mai come in quest'anno da mamma ha fatto sentire la sua assenza.
La mia mamma non c'è, non c'è nel corpo, nella parola, nei gesti. Una malattia, la più dolorosa e infame, la sta consumando.
Non ho mai parlato di Lei in questo blog, non l'ho fatto per rispetto, perché forse un blog non significa davvero raccontare tutti i fatti tuoi, perché spesso mi mancano le parole, la forza, il coraggio, perché raccontare a volte fa male.
Avere la SLA è come essere condannati alla pena di morte senza processo e diritto d'appello.
E' una spada di Damocle che ogni giorno pende sulla tua testa e ogni ora che passa ti toglie qualcosa. Un muscolo cede a poco a poco, le parole s'impastano nella bocca, la tua mano perde la presa.
E' un declino lento e consapevole, una caduta al rallentatore che non riesci a frenare.
La SLA è una bestia che ti divora il corpo e ti lascia integra la mente, lucida fino alla fine, quando giaci su un letto, una sonda che ti alimenta, un tubo che ti fa respirare.
Non è facile nemmeno morire. Non te lo concede il tuo paese, spesso chi soffre non ne trova il coraggio, chi ti ama pure.
Ci sono giorni che mi sembra tu non ci sia più. La mia vita scorre frenetica, il bambino assorbe tutte le mie energie, il blog mi ha aperto una strada, una luce per ritrovare me stessa.
Poi accade: un lampo improvviso, un flash che ti riporta improvvisamente da me.
Quel negozio che ti piaceva tanto e che mi è sempre sembrato così chic. Ci sono entrata qualche settimana fa, mi sembrava fossi lì. Ho comprato un po' di cose, chissà se ti sarebbero piaciute.
Quel tuo modo di cucinare le omelette. Io che ti osservo e non vedo l'ora che le giri sul piatto per spalmare lo stracchino e arrotolarle. Ogni volta che le preparo, da sola, nella mia cucina, il tuo ricordo mi assale prepotente.
La mia fissa di chiudere sempre il gas o di stendere la lavatrice appena ha finito il ciclo perché altrimenti i panni si stropicciano troppo e poi è difficile stirarli. Tu che non hai mai davvero avuto la pazienza d'insegnarmi a stirare perché sono mancina e non sapevi come fare.
Quando accendo la radio e la canzone che sento è una di quelle che piaceva a te. Chissà cosa penseranno gli altri automobilisti nel vedere una donna che guida con le lacrime agli occhi.
E poi ci sono le cose che non ricordo, quelle che mi fanno più male.
Non ricordo più il timbro della tua voce e questa cosa mi fa impazzire. Mi sforzo, ci penso, ma niente. Quando mi sono resa conto di questo ho capito che ti avevo già persa, che non ti avrei mai più ritrovata.
Non ricordo il tuo profumo, l'odore della tua pelle quanto ti mettevi la crema prima di andare a dormire. Forse se lo sentissi per strada lo riconoscerei. E mi sentirei morire.
Non ricordo molte delle nostre conversazioni, oppure mi vengono in mente i litigi e gli scontri e mi chiedo come sia possibile che siano questi a lasciare il segno più di tante belle parole.
Ecco forse la verità è che tu non hai mai dette. Non eri fatta così. Tu facevi dei gesti.
Quando mi hai preso la mano il primo giorno che ho tolto la parrucca e sono uscita alla luce del sole, libera dopo anni, ebbra e spaventata. Tu avevi più paura di me, lo sentivo, ma mi hai sostenuto e quel giorno lo abbiamo affrontato insieme.
Quando mi hai abbracciato orgogliosa e commossa il giorno della mia laurea.
Quando hai chiuso la cerniera del mio vestito il giorno del matrimonio e ti sei beata della mia gioia.
Quando hai pianto alla notizia che aspettavo un bambino. E quando hai fatto lo stesso, facendomi il gesto di cullare un bambino e io lo sapevo che, anche senza parole, mi stavi dicendo che stavi male da morire al pensiero che non avresti potuto prendere in braccio la vita che stava arrivando.
Non so cosa sarebbe stato di me senza Alessandro. Forse tutto questo dolore mi avrebbe trascinato in basso fino a farmi affogare, forse avrei lottato come tu e papà mi avete sempre insegnato.
Resta il fatto che mi manchi, che sto affrontando il compito più impegnativo della vita senza di te e senza papà che, con amore e sacrificio, ti sta accanto e ti accompagna verso la fine.
Già la fine, so che ci sarà, ma non so che impatto avrà su di me. Sapere che chi ami tra poco morirà non è un paracadute alla sofferenza che ne potrà derivare.
Vado avanti come riesco e posso, perdonami se non riesco a starti vicino come vorrei.
Ecco, ora sto piangendo e con gli occhi appannati dalle lacrime non riesco più a scrivere.
Volevo solo farti gli auguri e farli anche a me ... se sono la mamma che sono, con i suoi pregi e i suoi difetti, lo devo a te!